
“Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se si perde loro, la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati”
Don Milani – Scuola di Barbiana, Lettera ad una professoressa
Il 20 novembre 1989 è stata approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza che in Italia viene ratificata il 27 maggio 1991, con legge n. 176 e depositata presso le Nazioni Unite il 5 settembre 1991.
Il documento riconosce per la prima volta bambini, bambine e adolescenti come titolari di diritti civili, sociali, politici, culturali ed economici.
Ci troviamo di fronte a una vera e propria rivoluzione culturale: il bambino non è più visto come soggetto passivo, mero ricettore di cura e protezione, ma viene considerato titolare di diritti e reale protagonista della sua vita.
All’interno dei 54 articoli che la compongono, al fine di enfatizzare il significato profondo del gioco nella vita dei bambini, abbiamo ritenuto fondamentale richiamare l’art. 31 della Convenzione, che recita:
Art.31 comma 1
- Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo ed al tempo libero, di dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e di partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica.
La scelta di riflettere sul significato del gioco partendo dalla Convenzione Onu dei Diritti dei bambini e non dalla convenzione Onu delle persone con disabilità, nasce dal fatto che prima di tutto un bambino con disabilità è un bambino e deve poter giocare, come gioca ogni bambino inserito all’interno di un contesto favorevole e disponibile ad accogliere le differenze in quanto tali.
Come definisce la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, ogni persona in una fase della sua vita può avere una condizione di salute che, in un contesto ambientale sfavorevole, diventa disabilità.
Se la disabilità è l’esito dell’interazione tra le caratteristiche del bambino, la sua condizione di salute e le caratteristiche dell’ambiente, diviene azione strategica quella di agire sull’ambiente stesso, che sia umano o materiale, al fine di rimuovere tutte le barriere che impediscono loro la piena partecipazione alle attività; a cominciare da quelle ludiche e culturali, lasciando il posto ad un modello che progetta inclusione attraverso l’utilizzo di facilitatori.
Infatti giocare in un bambino con disabilità, e non solo, sviluppa il senso di autoefficacia e di autostima che sostiene un crescente sentimento di fiducia nei confronti delle proprie potenzialità, che siano esse pratiche (saper fare) o emotive (saper essere). Nel momento in cui queste vengono riconosciute anche dai pari, in primis, e dagli adulti poi, il risultato è di piena inclusione.
Ogni volta che un bambino con disabilità vede rispettato il proprio diritto al gioco…costruisce un’esperienza interiore formativa, attiva abilità di “Problem solving”, impara a riorganizzare sé nell’ambiente, rinforza competenze comunicative e sociali in grado di orientarlo nel Progetto di Vita, riconosce i propri limiti e implementa le proprie risorse.
CULTURA SOCIALE E GIOCO SPONTANEO
Il riconoscimento e il rispetto della diversità nascono dalla conoscenza. È fondamentale accompagnare e sensibilizzare i bambini e i ragazzi a sviluppo tipico verso un’educazione di comunità dove l’accoglienza della diversità risulta un concetto assoluto e contribuisce a creare un clima sociale solidale e di sostegno verso l’altro.
Il gioco, dopotutto, è quell’attivazione innata a cui si dedicano bambini o adulti, per passatempo, svago, ricreazione, o con lo scopo di sviluppare l’ingegno o la creatività ed è insostituibile e inalienabile.
In particolar modo, il gioco spontaneo, la cui importanza è spesso sottovalutata in direzione del gioco strutturato, consente al bambino di fantasticare, porsi obiettivi, escogitare strategie di autoregolazione, fallire, cercare alternative, interagire, mettersi nei panni dell’altro, litigare, rappacificarsi, interiorizzare e sviluppare regole sociali, sperimentare creatività e flessibilità e molte altre cose che supportano lo sviluppo bio-psico-sociale.
Ma dopotutto i bambini possiedono un’innata propensione all’inclusione, non si interrogano sulle differenze e, spontaneamente, trovano soluzioni che divengono inclusive e accoglienti.
La semplicità e spontaneità con la quale trovano soluzioni e inventano giochi a misura di tutti, si inceppa quando l’adulto e il contesto li richiama alla riflessione e all’attenzione su una diversità a loro estranea.
Utilizzare un approccio culturale muove verso il superamento della concezione della disabilità come limite invalicabile, valorizza il ruolo della motivazione, della progettualità e dell’autodeterminazione del bambino con disabilità e dei contesti di vita, riconosce le esperienze ludiche come fondamentali per la vita individuale e sociale. Questa dimensione contribuisce a formare una comunità accogliente, cooperante e stimolante, in cui la valorizzazione di ciascuno diviene il punto di partenza per ottimizzare i risultati di tutti, diffondendo valori inclusivi condivisi e trasmessi a tutto il gruppo insegnate, agli alunni, ai membri del Consiglio di istituto, ai dirigenti e alle famiglie. I principi e i valori, nelle culture inclusive della scuola, orientano le decisioni sulle politiche educative e gestionali e sulle pratiche quotidiane nella classe, all’interno delle quali il gioco e l’esperienza ludica hanno un ruolo fondamentale. È un processo in divenire che orienta il proprio agire verso la definizione di spazi di gioco e di apprendimento che valorizzano le differenze.
Ancor più efficace è l’agire verso la promozione di Politiche inclusive che favoriscano la permeabilità di tali valori verso l’esterno. Nel concreto, sviluppare pratiche inclusive promuove percorsi di educazione che sostengono la crescita armonica anche in contesti al di fuori della scuola. La comunità educante è tale quando collaborazione e sinergia vedono coinvolti insegnanti, alunni, famiglie, e la comunità locale tutta.
A questo punto il concetto di facilitatore o barriera diviene fondamentale affinchè lo sguardo si apra verso percorsi di reale inclusione.
Tale approccio organizza l’azione educativa costruendo Facilitatori che perseguano obiettivi quali:
adattare il contesto per facilitare la comunicazione efficace perchè consapevole dei diversi stili comunicativi ( C.a.a; diverse etnie; sordità); quindi organizzare le differenti proposte dando voce ai bisogni dei bambini stessi.
Se chiedessimo ai nostri bambini cosa possiamo fare per aiutarli, risponderebbero:
- CHIEDIMI LE COSE COSICCHE’ IO POSSA CAPIRLE, non dare per scontato che sia tutto chiaro;
- PROPONIMI GIOCHI O ATTIVITA’ CHE MI MOTIVINO E MI GRATIFICHINO, anche se ti sembrano banali o troppo semplici;
- PENSA A ME E ALLE MIE POSSIBILITA’, non dimenticare mai di pensare prima di propormi giochi che non posso fare;
- GUARDA ME…NON LA MIA DISABILITA’
Viceversa, se decidessimo noi, secondo un approccio che organizza un’azione educativa costruendo Barriere agiremmo in una direzione contraria e disfunzionale a qualsiasi processo di inclusione, per esempio attraverso:
- comunicazioni formali e strutturate secondo standard impersonali;
- proposte ludiche o formative progettate secondo standard che siano per età, per strumenti, per obiettivi generali e impersonali;
- luoghi che non rispondono a canoni flessibili;
- sguardo culturalmente orientato verso “Siamo tutti uguali”, impedendo alle differenze di trovare uno spazio personale e di crescita;
- La diagnosi, gli strumenti riabilitativi e compensativi sostituiscono la relazione empatia.
Si tratta quindi di abbandonare, di disinnamorarsi di un modello espulsivo, di rimetterne in gioco nuove idee, nuovi pensieri, di armarsi di creatività, di fantasia e di bellezza e di credere fortemente nella diversità come risorsa. Si tratta di avvicinarci a nuovi linguaggi, dare intenzionalità, costruire reciprocità, valorizzare il dono di sé, lo scambio della nostra esperienza relazionale, il senso del nostro stare all’interno dei contesti. Interagire e comunicare è ben diverso dallo scambiare e trasmettere un’informazione, è collocarsi in uno spazio comune, dove ognuno di noi è chiamato a far partecipe l’altro riconoscendone il valore individuale.
Quindi?… Gioco anch’io?.. SI, tu si!!!!!
Laura Cadamosti –Coordinatore Servizi Educativi – AIAS di Milano Onlus
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